lunedì 17 ottobre 2011

Percezioni e pagliacci


Un paio di settimane fa, durante una lezione, il professore ha menzionato un concetto che mi gira in testa da un po’. La differenza tra concettualizzazione e percezione. Come da titolo, non è difficile capire le loro definizioni: percezione è l’atto del notare, superficialmente, un oggetto o un’azione: è ottobre, sto camminando, vedo un laghetto ed una papera e penso “toh, una papera”. Concettualizzazione è investirci un paio di neuroni: vedo la papera, è ottobre, e penso “toh, una papera. Che carina! Adesso mi avvicino per farle una foto… cacchio sta scappando… l’applicazione foto dell’iPhone ci sta mettendo una vita ad aprirsi… e la luce non è un granchè… ecco, fatta la foto… chissà dove vanno ‘ste papere in inverno, con tutta la neve e il freddo… magari se le cucinano alla Creamery… oppure le surgelano e le rimettono in libertà in primavera…” e si va avanti così, alla Molly Bloom, finchè non ti rendi conto che sei impalata come una scema sulla scala appena sotto il Brimhall Building, dove studi, e che dire “scusi, mi sono fermata a fotografare papere e ad interrogarmi sulla loro sorte” non funziona granchè come scusa per un ritardo.
Il professore ha accennato brevemente al fatto che, da bambini, la differenza tra i due non è particolarmente affinata: le sfumature, l’ironia, i piccoli dettagli si perdono nella valutazione che un bambino fa del mondo. Se un film è in bianco e nero, per il bambino in quell’epoca non esistevano i colori (un mio amico l’ha chiesto personalmente alla mamma) su tutta la faccia della terra. La spiegazione mi ha riportato alla mente le mie vicissitudini con il fantastico film It, per cui sarò eternamente debitrice a Stephen King (avete più di otto anni, quindi per favore cogliete la sfumatura ed il sarcasmo, grazie).
Tutto è cominciato quando, nel mio ottavo anno d’età, It ha fatto la sua comparsa nel palinsesto televisivo serale, quello di una volta, dove i film iniziavano alle 20.30 o alle 20.40. Mi ricordo ancora l’immagine di ‘sto pagliaccio abbarbicato ad un lampione, e mia mamma che passando cambiava canale: essendo la presentazione del film in piena fascia protetta, non c’erano scene spaventose, ma questo pagliaccio aveva un che di sinistro e già non mi piaceva. Fatto sta, che mi sono sentita sollevata la mattina in cui mi sono svegliata sapendo che l’intero film era stato trasmesso la sera prima, e che avrei potuto continuare a guardarmi David Gnomo in santa pace.
Non avevo fatto bene i miei conti. Viveva, nel palazzo dietro al mio, una ragazza di circa sei anni più vecchia di me e delle mie amichette. Giocava sempre con noi, e solo anni dopo mi resi conto che probabilmente la sua vita sociale non era proprio il massimo. Non ci tiranneggiava, almeno non sempre, ma immagino le piacesse avere uno stuolo di bimbette adoranti che avrebbero barattato il fratello minore per la sua cucina della Barbie.
Comunque, questa ragazza, evidentemente psicologa in erba, aveva deciso che il modo migliore per “svezzarci” sarebbe stato quello di farci vedere film dell’orrore: dopodichè nessuna avrebbe più avuto paura di niente ed avremmo potuto vivere una vita piena e ricca di serenità. Avendo io espresso la mia paura per It, ed essendo io una bambina già dotata della migliore delle fortune, l’esperimento sarebbe iniziato con me, la più giovane. Ora, siccome la mia mamma legge questo blog, voglio dire che avevo in parte accettato a mia volta di guardare il film, quindi non andare a cercare una mazza ferrata, grazie. Aggiungo anche però che già ai titoli di testa avevo deciso che era una pessima idea, ma non mi è stato permesso di filarmela, e quindi mi sono goduta una versione condensata delle scene più terrificanti di quel cretino di pagliaccio, che invece di starsene in forma di ragno nelle fogne, deve per forza combinarsi da clown ed andare in giro in una città dove l’evento dell’anno è la fiera del timballo di quaglia gobba e nessuno se lo fila, a parte sei adolescenti sfigatissimi, emarginati per i più disparati motivi. Per il discorso iniziale della percezione/concettualizzazione, nella mia testa di bambina, il dannato pagliaccio era realissimo, frequentava i tubi del mio bagno e non aspettava altro che saltare fuori per farsi un pranzo di Pasqua con le mie cicciottelle carni. Inoltre, non avendo seguito l’intero film secondo uno schema logico, con un inizio ed un termine, nella mia psiche la storia non si era conclusa con la vittoria dei sei sfigati, bensì It era vivo e vegeto e si sfregava le mani guantate sotto la mia doccia. Vi risparmio il dramma, mi basta dirvi che per diverso tempo, oserei dire almeno un tre anni, ogni sera andare a lavarmi era una tragedia, una complicata sequenza di trattative con i miei per cui dovevo essere accompagnata o avere la colonna sonora di Cristina D’Avena (all’epoca non mi rendevo conto che essere divorata da un pagliaccio da incubo sarebbe stato di lunga preferibile rispetto a lasciar entrare nella mia mente pronta all’adolescenza i testi delle canzoni di Cristinona).
La questione si è conclusa a quindici anni, quando un lungimirante morosetto, mi ha spinto a guardare tutto il film mentre mi teneva sollecito la mano, pronto a difendermi da mostri, ragni e clown (il moroso in questione era di svariati centimetri più basso di me, penso che un eventuale clown affamano l’avrebbe abbattuto con una singola alitata, ma a quindici anni sei scema e non ti rendi conto di simili quisquilie).
La storia, a mio eterno disdoro, non si conclude qui.
Era l’inverno dei miei diciannove anni. Per chi conosce la mia città natale, sa che in inverno si blocca un tantino, e che le opzioni di divertimento per chi non possiede un mezzo di trasporto variano da temprare le proprie vie respiratorie facendosi uscire la coca cola dal naso a rincitrullirsi di Soul Calibur. I miei amici, tutti maschi, avevano terminato il solito repertorio di attività spirituali quali dare fuoco alle proprie pernacchie ed evidentemente la Playstation si era suicidata, perché Gianfranco propose “Dai, guardiamo IT”. Vedendo la mia faccia, che evidentemente esprimeva tutta la mia letizia di fronte a tale entusiasmante progetto, mi chiesero se ci fosse qualche problema ed io, forte del mio essere donna adulta, responsabile, con un recentemente acquisito diploma al liceo classico ed un appartamento tutto mio a Trieste, scossi la testa con degnazione, affermando che assolutamente, che problema c’era ed io, paura? Ma va là, quei film là io li guardavo ad otto anni…
Guardiamo il film. Dico, sono quattro ore di film.
Bon, torno a casa, saranno state le tre del mattino, vado in bagno per la solita trafila togli lenti, togli trucco, crema, denti, lava il tutto a velocità fotonica e nel giro di 11, massimo 12 minuti ero a letto. Mi concentro su Babbo Natale, e mi addormento.
E sogno.
Sogno quel disgraziato che viene su dalla vasca da bagno, tutto contento, entra in camera mia, si avvicina e mi scosta le coperte facendole scivolare sul lato destro del letto, ed inizia, con tutta la calma del mondo, a mangiarmi, partendo dai piedi. (Commento simpatico di mio papà del giorno dopo, “arrivato alle ginocchia, sarà già stato a posto”). Nel sogno, io chiaramente esprimo la mia contrarietà allo spuntino con tutta la voce che ho, ma nessuno accorre in mio aiuto. Mi sveglio. Avete presente quando il corpo è talmente teso che i nervi, di solito di una gamba, scattano involontariamente? Beh, mi parte la gamba destra, calcio le coperte e quelle, per una malefica casualità mi scivolano giù sul lato destro del letto. Oh, come ho strillato! Talmente tanto che i miei sono arrivati tutti agitati, mia mamma che, per portarsi avanti, già piangeva per lo spavento. Balbettando sono riuscita a raccontare cosa mi turbava, e mia mamma si è offerta di farmi dormire con lei (evento senza precedenti), mentre papà, sfrattato e incredulo, continuava a ripetere “Giulia, hai una cosa come vent’anni!”.
Evidentemente nel mio processo di concettualizzazione, It resta ancorato alla percezione che ne ho fatto ad otto anni. Stupida percezione… 

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