giovedì 26 gennaio 2012

Fumo di Londra

Oggi mio papà e mia mamma volano a Londra per una convention. Il che mi porta a riflettere sulle mie storie della buonanotte. Di solito ai bambini si legge una storia, o si racconta una classica fiaba (che poi quando diventi adulto scopri hanno contenuti sociologicamente e psicologicamente disturbanti): prendi Cappuccetto Rosso: una madre che manda la figlia da sola ad attraversare un bosco per portare due dolcetti alla nonna che sta male.. Ora, questa donna ha miseramente fallito da ben due punti di vista: come figlia, visto che tiene la madre novantenne e nemmeno in piena salute in mezzo ad un bosco da sola, senza nemmeno una badante di Paperopoli; come madre non mi sembra sveglissima, dato che manda la figlia da sola in mezzo ad un bosco... manca solo le auguri "in bocca al lupo" sulla porta...
Vogliamo parlare de "La Sirenetta"? Di recente mi sono riguardata i cartoni della mia infanzia per un progetto di ricerca, e mi sono seriamente preoccupata: quante tra le cose che ho ascoltato con le mie innocenti orecchie di bambina cicciosa sono penetrate ed hanno nidificato nel mio cervello? Insomma, la nemica della Sirenetta è una seppia cicciona, la cui filosofia è "agli uomini le chiacchiere non vanno, si annoiano a sentire bla bla bla; sulla Terra va così e le signore fanno in modo di imparare a stare zitte... ma avrai sempre il tuo aspetto, il tuo bel faccino, e non dimenticare il linguaggio del corpo!" COSA!?? Cenerentola? Davvero? Una che passa tutto il giorno a pulire e comunque si ritrova sempre piena di topi in giro? E li veste, pure. La bella addormentata? Cioè, una ha solo una cosa da fare nella vita: non toccare il dannato aggeggio per filare. Tra l'altro è talmente complicato che posso guardarlo e girarlo per tre giorni e ancora dovrei capire come cavolo funziona. Ti si dice, fai quello che ti pare, ma non toccare il fuso. Fatti tatuare tutte e due le chiappe, vai ad appiccare fuoco a un orfanotrofio, datti ad un corso di calligrafia, intreccia canestri, leggiti l'opera omnia di Camilleri, guarda le ottomila e quattrocento ventisei puntate di Quark sulla vita della savana, con la stessa coppia di leoni che si accoppiano in ogni puntata, fatti fare un massaggio, una lampada, una sauna, qualunque cosa, ma Non. Toccare. Il. Fuso. Ti abbiamo anche messo a guardia tre cretine che svolazzano e non sanno decidere tra rosa e blu! E tu cosa fai. Tocchi il fuso. Ovvio.
Biancaneve? Mi mette tristezza solo a pensarci. Passa da fare la donna di servizio per la regina, a fare la donna di servizio per sette uomini. Pazienza se sono nani: uno non sa infilare tre parole dritte, uno dorme in continuazione, uno si vede che non è molto a posto con la testa, uno starnutisce muco ovunque, uno che è troppo contento per non essere sotto l'effetto di qualche stupefacente, uno rimasto adolescente che se una donna gli dà un bacio diventa verde ed un bastian contrario.
Insomma, le fiabe classiche, tutto sommato, non sono una scelta azzeccata. E allora il mio papà, quando ero piccola, mi raccontava le sue storie. Erano due, e venivano sempre raccontate nello stesso modo. Una si chiama Papà a Londra. L'altra si chiama Papà a Parigi.
Papà non aveva mezzi, il lavoro che avrebbe potuto fare lo annoiava ed avviliva. Con pochi soldi e tanto coraggio, ha preso mille treni, da Venezia fino a Calais, in Francia; poi un traghetto fino a Dover; e ancora treni fino a Londra. Siamo alla fine degli anni 60. Gli inglesi non sono esattamente fan degli Italiani (credo non lo siano tuttora...), e ci sono tante porte sbattute in faccia, quando un ragazzino di diciassette anni chiede di lavorare. Poi lo trova: deve rifare le camere in un alberghetto in periferia. Il riscaldamento va a monetine, e lui ed il suo compagno hanno capito il trucco per inserire la monetina e tirarla fuori, per riuscire a scaldarsi. Papà va a scuola: scuola serale, naturalmente. Perché di giorno lavora. Fa tutti i mestieri che può fare chi non conosce la lingua: rifare letti, lavare piatti, tagliar patate. Poi la sera corre a scuola, perché vuole lavorare in posti migliori, e non può, se non impara l'inglese. E' dura, perché a Papà non piace tanto studiare. Ma ce la fa: impara meglio che può. E' dura anche perché a diciassette anni non sei mai uscito dal tuo paesotto, e la tua casa, la tua famiglia, la cucina della tua mamma ti mancano: non c'è Skype, roaming dati, bacheche di Facebook dove postare le tue notizie e sentire i tuoi cari. Ci sono solo lettere, lettere scritte da un padre che ha imparato a leggere e a scrivere da solo. Se poi gli inglesi decidono di scioperare e bloccare le poste per tre mesi, non ci sono neanche le lettere.
Poi torna in Italia, lavora l'estate, e riparte. Va a Parigi. Ci va con degli amici, ed uno si perde una valigia. A Parigi è ancora più dura. Lavora in un ristorante italiano, fa il cameriere. Ed i turni sono così terribili che ogni sera gli sanguinano i piedi. E ha fame, il mio Papà. Talmente tanta fame che quando lo mandano in ghiacciaia a prendere qualcosa, lui riesce a rubare un creme caramel, e a mangiarlo nascosto nel buio di un angolo. Anche qui, va a scuola. Sempre serale, s'intende. Tornato da scuola dovrebbe fare i compiti, ma non ce la fa, allora va a dormire puntandosi la sveglia alle cinque e ripromettendosi di farlo il giorno dopo, ma il giorno dopo non la sente, e allora di corsa a farli tra lavoro e scuola, e pregare che un avventore non entri nel ristorante ad un minuto dalla chiusura...
Sono passati più di quarantadue anni. Quello stesso ragazzo, adesso, dirige la portineria del più famoso hotel di Venezia. Ed oggi torna a Londra, ad una convention, accompagnato da sua moglie e da chissà quanti ricordi, più o meno dolorosi. Anche io a diciassette anni sono andata all'estero: in America, spesata e coccolata da amici, una camera tutta mia con vista sulla piscina, un college per stranieri e non un pensiero al mondo. E Papà mi scrisse una lunga lettera, mentre ero via. Iniziava raccontandomi di come anche lui a diciassette anni fosse andato lontano, ma con altre condizioni... mi raccontava che festa fossero le lettere di suo padre da casa... e anche se quando avevo io diciassette anni, c'erano già le mail e le telefonate oltreoceano, anche per me ricevere quella lettera ha significato il mondo.
Sono una figlia orgogliosa di suo padre.

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